Disturbi d'Ansia
Molte persone hanno avuto o potranno avere un disturbo d’ansia nel corso della propria vita. L’ansia è un fenomeno normale, un’emozione che proviamo quando una situazione viene percepita come pericolosa. Quando diventa eccessiva, ingiustificata o sproporzionata rispetto alle situazioni, siamo di fronte ad un Disturbo d’Ansia, che può complicare notevolmente la vita di una persona e renderla incapace di affrontare anche i problemi più comuni.
Nella specie umana l’ansia si traduce in una tendenza immediata all’esplorazione dell’ambiente, alla ricerca di spiegazioni, rassicurazioni e vie di fuga, nonchè in una serie di fenomeni neurovegetativi come l’aumento della frequenza del respiro, del battito cardiaco (tachicardia), sudorazione, vertigini, ecc.. Tali fenomeni dipendono dal fatto che, ipotizzando di trovarsi in una situazione di reale pericolo, l’organismo ha bisogno della massima energia muscolare a disposizione, per poter fuggire o attaccare nel modo più efficace possibile, scongiurando il pericolo e garantendo la propria sopravvivenza. L’ansia non è solo un disturbo ma una risorsa per proteggere l’organismo. Tuttavia alcune persone possono vivere esperienze di ansia e stress particolarmente intense, prolungate e frequenti.
Molte persone hanno avuto o potranno avere un disturbo d’ansia nel corso della propria vita. L’ansia è un fenomeno normale, un’emozione che proviamo quando una situazione viene percepita come pericolosa. Quando diventa eccessiva, ingiustificata o sproporzionata rispetto alle situazioni, siamo di fronte ad un Disturbo d’Ansia, che può complicare notevolmente la vita di una persona e renderla incapace di affrontare anche i problemi più comuni.
Nella specie umana l’ansia si traduce in una tendenza immediata all’esplorazione dell’ambiente, alla ricerca di spiegazioni, rassicurazioni e vie di fuga, nonchè in una serie di fenomeni neurovegetativi come l’aumento della frequenza del respiro, del battito cardiaco (tachicardia), sudorazione, vertigini, ecc.. Tali fenomeni dipendono dal fatto che, ipotizzando di trovarsi in una situazione di reale pericolo, l’organismo ha bisogno della massima energia muscolare a disposizione, per poter fuggire o attaccare nel modo più efficace possibile, scongiurando il pericolo e garantendo la propria sopravvivenza. L’ansia non è solo un disturbo ma una risorsa per proteggere l’organismo. Tuttavia alcune persone possono vivere esperienze di ansia e stress particolarmente intense, prolungate e frequenti.
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Come si curano i Disturbi d’Ansia?
La Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale è attualmente considerato dalle linee guida internazionali il trattamento di prima scelta per la cura dei disturbi d’ansia
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Come si curano i Disturbi d’Ansia?
La Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale è attualmente considerato dalle linee guida internazionali il trattamento di prima scelta per la cura dei disturbi d’ansia
Molte persone hanno avuto o potranno avere un disturbo d’ansia nel corso della propria vita. L’ansia è un fenomeno normale, un’emozione che proviamo quando una situazione viene percepita come pericolosa. Quando diventa eccessiva, ingiustificata o sproporzionata rispetto alle situazioni, siamo di fronte ad un Disturbo d’Ansia, che può complicare notevolmente la vita di una persona e renderla incapace di affrontare anche i problemi più comuni.
Nella specie umana l’ansia si traduce in una tendenza immediata all’esplorazione dell’ambiente, alla ricerca di spiegazioni, rassicurazioni e vie di fuga, nonchè in una serie di fenomeni neurovegetativi come l’aumento della frequenza del respiro, del battito cardiaco (tachicardia), sudorazione, vertigini, ecc.. Tali fenomeni dipendono dal fatto che, ipotizzando di trovarsi in una situazione di reale pericolo, l’organismo ha bisogno della massima energia muscolare a disposizione, per poter fuggire o attaccare nel modo più efficace possibile, scongiurando il pericolo e garantendo la propria sopravvivenza. L’ansia non è solo un disturbo ma una risorsa per proteggere l’organismo. Tuttavia alcune persone possono vivere esperienze di ansia e stress particolarmente intense, prolungate e frequenti.
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Come si curano i Disturbi d’Ansia?
La Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale è attualmente considerato dalle linee guida internazionali il trattamento di prima scelta per la cura dei disturbi d’ansia.
L’uso di psicofarmaci può sostenere l’efficacia dell’intervento terapeutico ma non sostituirlo.
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Quanto sono diffusi i disturbi d’ansia?
I disturbi d’ansia sono molto comuni. Ne soffre circa una persona su venti.
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Come si riconoscono i disturbi d’ansia?
Un disturbo d’ansia si manifesta diversamente da persona a persona, ma in genere le sue caratteristiche sono:
preoccupazione eccessiva e rimugino (‘farò una figuraccia, non sarò all’altezza, mi sentirò male…’);
eccessiva attenzione rivolta a eventi, sensazioni o pensieri negativi e minacciosi (‘non riesco a togliermi dalla testa queste preoccupazioni’)
emozioni di ansia e paura;
sensazioni corporee alterate (tensione muscolare, respirazione veloce, battito cardiaco accelerato, sudorazione, sensazioni di svenimento, vertigini, ecc…);
comportamenti alterati (agitazione, ricerca di rassicurazione, comportamenti di controllo, evitamento delle situazioni che producono ansia).
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Quali sono i disturbi d’ansia?
I disturbi d’ansia conosciuti e chiaramente diagnosticabili sono i seguenti:
Fobia Specifica: paura marcata, persistente, eccessiva o irragionevole, provocata dalla presenza o dall’attesa di un oggetto o situazione specifici (per es., volare, altezze, animali, ricevere un’inienzione, vedere il sangue);
Disturbo da Attacchi di Panico: paura di vivere attacchi intensi di ansia (panico) durante i quali si teme di impazzire, morire o perdere il controllo;
Agorafobia: ansia relativa al trovarsi in luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile (o imbarazzante) allontanarsi o nei quali potrebbe non essere disponibile aiuto nel caso di attacco di panico;
Disturbo Ossessivo-Compulsivo: pensieri, impulsi o immagini ricorrenti e persistenti, vissuti come intrusivi o inappropriati e che causano ansia e comportamenti ripetitivi o azioni mentali che la persona si sente obbligata a mettere in atto in risposta ad essi;
Fobia Sociale: paura marcata e persistente di una o più situazioni sociali o prestazionali nelle quali la persona è esposta a persone poco conosciute o al possibile giudizio degli altri;
Disturbo Acuto o Post-Traumatico da Stress: paura e ansia a fronte di stimoli connessi a uno specifico evento traumatico;
Disturbo d’Ansia Generalizzato: ansia e preoccupazione eccessive (attesa apprensiva), che si manifestano per la maggior parte dei giorni e riguardo un’ampia varietà di eventi o attività (come prestazioni lavorative o scolastiche) con un pensiero fortemente negativista e ripetitivo su ciò che potrebbe accadere (rimugino).
Ipocondria (Ansia per la Salute): preoccupazioni legate alla paura o alla convinzione di avere una malattia grave, basate sull’erronea interpretazione di sensazioni corporee. La preoccupazione persiste nonostante rassicurazioni mediche appropriate;
Ansia Sociale
Il Disturbo d’Ansia Sociale o Fobia Sociale è un disturbo d’ansia caratterizzato dalla paura intensa di trovarsi in una situazione sociale, soprattutto non conosciuta, o paura di eseguire prestazioni non all’altezza delle aspettative e da cui possa derivare un giudizio altrui negativo.
Le persone che soffrono di questo disagio psicologico temono costantemente di dire o fare cose inadeguate o imbarazzanti oppure di mostrare agli altri i segni della propria agitazione. Il timore centrale è quello di essere giudicati ansiosi, deboli, impacciati, stupidi, sciocchi o inadeguati. Questo timore può essere tanto forte da produrre sensazioni di disagio molto intense (es: palpitazioni, tremori, sudorazione, malessere gastrointestinale, dissenteria, tensione muscolare, confusione) che possono provocare veri e propri attacchi di panico.
Le prestazioni che scatenano ansia sociale sono di varia natura (es: feste, cene, riunioni di lavoro, conoscere nuove persone, mangiare o usare il telefono davanti ad altri ecc…). Per questa ragione la Fobia Sociale può essere specifica se avviene solo in alcuni contesti o generalizzata se avviene nella maggioranza delle situazioni sociali.
La psicoterapia cognitivo comportamentale del disturbo d’ansia sociale si concentra su: (1) ridurre il timore del giudizio e il bisogno di riconoscimento, (2) controllare il rimuginio anticipatorio sulle proprie prestazioni, (3) ridurre il timore di mostrare ansia, (4) ridurre i comportamenti di controllo dell’ansia.
Disturbo Ossessivo Compulsivo
Il Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) è un disturbo d’ansia caratterizzato generalmente dalla presenza di ossessioni e compulsioni, anche se in alcuni casi possono essere presenti ossessioni senza compulsioni.
Le ossessioni sono pensieri, impulsi o immagini mentali che vengono percepite come sgradevoli o intrusive dalla persona. Il contenuto delle ossessioni può variare da persona a persona, alcuni temi ricorrenti riguardano impulsi aggressivi verso altre persone, il timore di essere contaminati o altri pensieri di natura sessuale o soprannaturale. L’elemento in comune delle ossessioni è che sono impulsi non voluti dalle persone, che producono emozioni di paura, disgusto o senso di colpa.
Questo disagio emotivo può essere tanto intenso che le persone si sentono costrette a mettere in atto una serie di comportamenti (rituali) o di azioni mentali per neutralizzare le ossessioni o eliminarle dalla mente. Le compulsioni sono comportamenti ripetitivi (es: lavarsi le mani, ripetere più volte una stessa azione) o azioni mentali (es. contare, ripetere formule superstiziose) che permettono alla persona di alleviare momentaneamente il disagio provocato dalle ossessioni. Attraverso le compulsioni la persona riesce a ridurre la sgradevole sensazione che qualcosa non va o che potrebbe accadere qualcosa di brutto.
Tuttavia le compulsioni non eliminano le ossessioni, che possono aumentare o ripresentarsi nel tempo. Inoltre le compulsioni possono diventare molto debilitanti, impegnare molto tempo e costituire esse stesse un problema. La persona con disturbo ossessivo-compulsivo può iniziare a evitare tutte le situazioni associabili alle ossessioni e limitare notevolmente la propria vita sociale o lavorativa.
Il disturbo ossessivo compulsivo può essere curato. Gli studi scientifici attuali mostrano che gli unici trattamenti che hanno dato prova di efficacia sono la terapia farmacologica e la terapia cognitivo-comportamentale.
La terapia cognitivo comportamentale del disturbo ossessivo compulsivo mira a (1) ridurre l’attenzione ai pensieri ossessivi e imparare a valutarli come naturali eventi mentali, (2) ridurre i rituali di controllo (compulsioni), (3) migliorare il rapporto con i propri dubbi e stati di incertezza.
Attacchi di Panico
L’Attacco di Panico è un periodo di paura o disagio intensi in assenza di vero pericolo e accompagnati da almeno sintomi cognitivi o somatici. L’attacco di panico raggiunge rapidamente l’apice e si manifeste con breve durata, solitamente non superiore ai 10 minuti.
Gli attacchi di panico possono essere (1) inaspettati quando non è possibile associare l’attacco a un fattore specifico preciso, (2) sensibili alla situazione se sono associati a contesti specifici (es: la guida in autostrada).
I sintomi che possono caratterizzare l’attacco di panico sono: palpitazioni, cardiopalmo o tachicardia, sudorazione, tremori fini o a grandi scosse, sensazione di soffocamento, dolore o fastidio al petto, nausea o disturbi addominali, sensazioni di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di svenimento, derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da se stessi), paura di perdere il controllo o di impazzire, paura di morire, parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio), brividi o vampate di calore.
Il circolo del panico si fonda sulla paura della paura, cioè il timore di tutti quei segnali fisici che corrispondono alla paura (es: affanno, tachicardia, brividi, pressione al petto ecc…). La paura è un emozione che si attiva quando l’individuo percepisce una minaccia. La paura prepara il corpo a reagire a questa minaccia. Cosa succede quando uno dei segnali corporei della paura viene esso stesso interpretato come una minaccia (paura della paura)? Il corpo reagisce aumentando i segnali della paura. Si innesca in questo modo un vortice di apprensione e la paura si trasforma in panico.
Il vortice del panico è favorito dal fatto che il cambiamento fisiologico iniziale è spesso improvviso e inspiegabile.
Il panico può spaventare a tal punto da diventare oggetto di preoccupazione anticipatoria. Cioè la persona può iniziare a temere di avere nuovi attacchi di panico.
Il rischio è reagire evitando tutte le situazioni che possono attivare un attacco di panico oppure affrontare le situazioni solo se accompagnati da qualcuno. In questo modo si innesca un problema di agorafobia, intesa come la paura relativa al trovarsi in luoghi o situazioni dai quali può essere difficile (o imbarazzante) allontanarsi, o nei quali può non essere disponibile aiuto in caso di un improvviso attacco di panico. Una delle conseguenze pericolose dell’agorafobia è quello di ridurre l’autonomia e rinunciare ad attività quotidiane piacevoli o utili per la soddisfazione personale.
La Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale del Disturbo di Panico mira a: (1) interrompere gli evitamenti agorafobici, (2) modificare la paura della paura e dei segnali corporei negativi, (3) ridurre la tendenza al controllo della propria ansia, (4) fronteggiare le sensazioni di costrizione e fragilità che possono essersi sviluppate in seguito allo sviluppo di un Disturbo da Attacchi di Panico.
Ipocondria (Ansia per la Salute)
In psicologia clinica, l’ipocondria è caratterizzata dall’interpretazione erronea di segni e sintomi fisici come segnale di una grave patologia, senza che un’accurata valutazione medica abbia identificato motivi sufficienti per giustificare questi timori. Chi soffre di ipocondria non ha convinzioni così esagerate da sfociare nel vero e proprio delirio, riconosce spesso che i propri timori sono esagerati e che potrebbe non avere alcuna malattia.
La prima caratteristica psicologica dell’ipocondriaco è la caccia alla malattia. L’attenzione dell’ipocondriaco è completamente focalizzata a scannerizzare le proprie sensazioni corporee o segni fisici e a produrre dubbi sulla loro origine con il risultato di trovarne. La preoccupazione riguardo la propria salute è costante, tendenzialmente catastrofica e difficile da regolare. La persona fatica a pensare ad altro o a non dare importanza ai propri dubbi di malattia.
La seconda caratteristica psicologica è la ricerca di rassicurazioni. La persona può consumare tempo in esami medici, verifiche e richieste di opinioni ad altre persone, ricerche su internet dei significati dei sintomi. Questa ricerca di rassicurazioni produce solo sollievo limitato nel tempo, fino al prossimo dubbio, ancora più grave che può emergere naturalmente nella mente della persona.
La psicoterapia cognitivo comportamentale ha portato ottimi risultati nel trattamento dell’ipocondria e dell’ansia per la salute. Gli obiettivi della psicoterapia cognitivo comportamentale sono (1) aumentare la tolleranza degli stati di incertezza e del dubbio, (2) ridurre la propensione alla preoccupazione e alla focalizzazione attentiva sul corpo, (3) ridurre gradualmente i livelli di controllo.
Disturbi Depressivi
La Depressione è un Disturbo dell’Umore. Generalmente chi ne soffre prova frequenti e intensi stati di insoddisfazione e tristezza e tende a non provare piacere nelle comuni attività quotidiane. Le persone che soffrono di depressione vivono in una condizione di costante malumore e con pensieri negativi e pessimisti circa sé stesso e il proprio futuro.
Spesso la depressione nasce dalla difficoltà di accettare una perdita o il non raggiungimento di un proprio scopo (che viene vissuto come un fallimento insuperabile). Si tratta per esempio di tutte le forme depressive che nascono da lutti personali piuttosto che dalla perdita del lavoro o dalla rottura di un’importante relazione affettiva. La sintomatologia tipicamente è più intensa al mattino e migliora nel corso della giornata, ma vi sono delle eccezioni. La depressione può manifestarsi con diversi livelli di gravità.
Si può soffrire di depressione in modo acuto (con fasi depressive molto intense ed improvvise) oppure soffrirne in modo cronico e continuo, anche se in forma leggera, con alcuni improvvisi momenti di peggioramento.
Le componenti psicologiche principali che caratterizzano e mantengono la depressione sono:
Ruminazione mentale (autoanalisi): la tendenza ad analizzare continuamente il proprio malessere (mancanza di energia, umore triste) e i propri problemi (perdite o fallimenti) cercando di capire cause e conseguenze (perchè mi è capitato? Perchè sto così male? Cosa ho fatto per meritarlo? Dove ho sbagliato?) con il risultato di prolungare lo stato depressivo (vedi le mie aree di ricerca sulla ruminazione)
Ritiro: indica la riduzione del contatto sociale, delle attività quotidiane o l’evitamento di compiti ed è motivato dall’idea di non essere capace o di non provare alcun piacere, che ha come risultato passività e ulteriore demotivazione.
Autovalutazione negativa (autocritica eccessiva): la tendenza a valutarsi negativamente come incapace, sfortunato, indegno di amore, difettoso, a fronte di errori e mancanze che appartengono alla vita di tutti i giorni.
Negativismo: mantenere l’attenzione costantemente puntata su ciò che manca per essere felici o soddisfatti di sé stessi e della propria vita.
La Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale è attualmente considerato dalle linee guida internazionali il trattamento di prima scelta per la cura della depressione. L’uso di psicofarmaci è necessario come supporto alla psicoterapia SOLO in caso di depressione severa. Gli obiettivi della Psicoterapia Cognitivo Comportamentale della depressione sono: (1) imparare a controllare la ruminazione, (2) ridurre il ritiro dalle attività, (3) acquisire un atteggiamento realistico e autoconsolatorio più che autocritico e autopunitivo, (4) ridurre la fissazione dell’attenzione sugli aspetti negativi di sé e della propria vita.
Disturbi Alimentari (Anoressia, Bulimia e Alimentazione Incontrollata)
Descrizione disturbi dell’alimentazione
I disturbi dell’alimentazione consistono in disfunzioni del comportamento alimentare e/o in comportamenti finalizzati al controllo del peso corporeo, che danneggiano in modo significativo la salute fisica o il funzionamento psicologico e che non sono secondari a nessuna condizione medica o psichiatrica conosciuta. Nella classificazione dei disturbi alimentari rientrano: l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e i disturbi da alimentazione incontrollata.
La fame nervosa
LA “ FAME NERVOSA” È UNA MALATTIA VERA E PROPRIA CHE PUÒ ESSERE CURATA
È descritta in circa il 50% dei soggetti obesi con una storia dietologica fallimentare.
Il Disturbo da Alimentazione Incontrollata, in inglese Binge Eating Disorder (BED) è una patologia caratterizzata dalla presenza di episodi di abbuffate compulsive, alle quali seguono sensi di colpa e vissuti fallimentari. Recentemente i ricercatori che hanno contribuito ad elaborare la quinta revisione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM 5, revisione di maggio 2013), hanno riconosciuto il disturbo da alimentazione incontrollata come una malattia a tutti gli effetti, la quale richiede diagnosi e cura al pari di anoressia e bulimia.
CHE COS’È UN’ABBUFFATA COMPULSIVA?
Per molte persone un’abbuffata è qualcosa di perfettamente innocuo: uno scivolone, un errore dietetico o un semplice abuso. Per altri, soprattutto per le donne, ma sempre più spesso anche per gli uomini, indica un’assunzione compulsiva di una quantità esagerata di cibo con la contemporanea sensazione di perdita di controllo e successivi sentimenti di colpa, vergogna e di disprezzo verso se stessi.
Alcuni pazienti riferiscono che il comportamento di alimentazione incontrollata viene scatenato da alterazioni dell’umore come depressione, ansia, rabbia o noia; altri non sono in grado di identificare precisi fattori scatenanti, ma riferiscono sentimenti aspecifici di tensione che ricevono sollievo dal mangiare senza controllo.
I soggetti con Disturbo da Alimentazione Incontrollata che giungono nello studio della Dott.ssa Ornella Mozzato presentano gradi variabili di obesità, hanno una storia alle spalle di ripetuti tentativi di perdere peso e si sentono spesso disperati per la loro incapacità di controllare l’assunzione di cibo.
Spesso queste persone riferiscono che il loro modo di mangiare e il peso interferiscono nei rapporti con gli altri, nel lavoro e nella possibilità di sentirsi soddisfatti. Descrivono un senso di autodisprezzo, di disgusto per le dimensioni e le forme corporee, di depressione, di ansia, di preoccupazioni e di vulnerabilità.
UNA SPINTA FORTE VERSO L’ABBUFFATA
Per far fronte all’insoddisfazione vissuta per il peso e per la forma del corpo una delle soluzioni adottate é quella di iniziare una dieta spesso molto restrittiva. Lo stare a dieta, però, induce un senso di deprivazione fisica e mentale che diventa una forte spinta verso l’ abbuffata.
Il frequente tentativo di riacquistare il controllo intraprendendo nuove diete crea, con l’andare del tempo, un circolo vizioso che diviene autoperpetuante, si perde il controllo perché si è a dieta o ansiosi o arrabbiati ci si rifugia nell’abbuffata che anestetizza le emozioni per pochi minuti per riaccenderli, inevitabilmente, più forti di prima. Questo continuo tentativo di esercitare il controllo seguito dal fallimento imprigiona il soggetto nella gabbia del Disturbo Alimentare.
COSA FARE ?
Il trattamento più efficace nella cura del Disturbo da Alimentazione Incontrollata è la terapia cognitivo comportamentale che nello Studio Specialistico della Dott.ssa Mozzato viene proposta riscontrando sempre più frequentemente la risoluzione della sintomatologia e la conseguente gestione del peso corporeo.
L’ Alimentazione Incontrollata è il disturbo alimentare più frequente e quello che si cura più facilmente.
Il primo passo da fare è uscire dall’isolamento e chiedere aiuto.
Descrizione del Disturbo di Anoressia
L’anoressia nervosa è caratterizzata dal rifiuto di mangiare e di mantenere il peso corporeo nella norma, arrivando al di sotto dell’85% rispetto a quanto previsto per età, sesso e statura. Si ha un’intensa paura di diventare grassi anche se si è in realtà sottopeso, spesso negando la propria magrezza e lamentandosi di essere troppo grassi.
La forma e il peso del corpo assumono un’influenza eccessiva sul proprio livello di autostima, condizionando tutta l’esistenza e il comportamento della persona. Nelle ragazze e nelle donne per parlare di anoressia ci deve essere l’assenza di almeno 3 cicli mestruali consecutivi, dovuta fisiologicamente al sottopeso. Negli ultimi anni i disturbi del comportamento alimentare sono nettamente aumentati in particolare nel mondo occidentale, dove l’ideale di magrezza e di linea perfetta è sempre più diffuso (in zone del mondo dove c’è malnutrizione essere grasi è considerata una prova di salute e benessere sociali). Colpisce ogni strato sociale, con una forte prevalenza nel sesso femminile (circa 90%). Insorge generalmente nell’adolescenza, raramente in donne oltre i 40 anni. (in quest’ultimo caso, spesso è presente un evento della vita stressante, in collegamento con l’esordio del disturbo. Si possono distinguere due forme di questo disturbo: l’anoressia restrittiva, in cui la perdita di peso è ottenuta attraverso una dieta ferrea, il digiuno e/o l’eccessiva attività fisica e quella con bulimia, quando alle condotte di restrizione del’assunzione del cibo, si aggiungono episodi di abbuffate (caratterizzate da un’abnorme ingestione di cibo in un tempo ridotto e dalla sensazione di perdere il controllo durante l’episodio) alternate a condotte di eliminazione (vomito autoindotto, uso eccessivo di lassativi o diuretici). Uno dei vissuti più angoscianti delle persone anoressiche, è legato ad una errata percezione del proprio corpo, vissuto come sgradevole e perennemente inadeguato. Alcuni si sentono grassi in riferimento a tutto il loro corpo, altri pur ammettendo la propria magrezza concentrano le loro critiche ad alcune parti del corpo (di frequente la pancia, i glutei, le cosce). Il disturbo dell’immagine corporea non è imputabile ad un disturbo della percezione, in quanto tendono a sovrastimare anche il peso e la forma di altre persone, ma mai quanto i propri. Questa distorsione tende inoltre a diminuire man mano che le persone riacquistano peso.
Il livello di autostima e di valutazione di sè è influenzato dalla capacità di controllare il proprio peso e i fallimenti sono seguiti da autocritica e svalutazione. Essendo gli standard attesi molto elevati e il metro di giudizio tendente al perfezionismo, diventa molto facile che gli obiettivi non vengano raggiunti e si presentino tali condizioni negative. In un primo momento lo stress e le fatiche della restrizione vengono sostituiti da un maggior senso di energia e da un generale stato di benessere.
Quando però questa fase termina, il pensiero del cibo e del mangiare ritorna, insieme alla paura di perdere il controllo e alla paura che se si mangia normalmente si sarà incapaci di smettere e si ingrasserà. Con l’aumento della perdita di peso la concentrazione, la memoria e la capacità di giudizio critico diminuiscono, mentre si accentuano sempre più le emozioni negative, l’iperattività, l’irritabilità, l’asocialità e i disturbi del sonno. Nei casi in cui vi è una evoluzione cronica, o comunque una perdita di peso superiore al 25%, e/o complicazioni mediche è necessario il ricovero ospedaliero.
Descrizione del Disturbo di Bulimia
Laura, una bella ragazza di 21 anni, dice: “Da due anni quando mi guardo allo specchio o quando faccio caso al mio corpo, mi sento sgradevole; è difficile da spiegare, ma è come se mi facessi schifo, disgusto. Guardo le mie cosce o la mia pancia e mi sembra di vedere tanta ciccia o cellulite. Solo quando riesco a mangiare poco, mi sembra di essere a posto e non volgare, e quindi spesso mi metto a fare lunghi digiuni o diete ferree. Il problema è che poi o perché sono soddisfatta di me e mi voglio premiare o perché mi sento depressa e non ne posso più della dieta, mi concedo di interrompere la dieta. A quel punto in un attimo mi risento uno schifo e mi ritrovo ad abbuffarmi di schifezze e ricomincio con abbuffate e vomito. Più mangio e più mi viene voglia di provocarmi il vomito; però poi più vomito e più mi sento uno schifo e ho voglia di mangiare. Mi sembra di non riuscire a pensare ad altro che al cibo: o perché non mangio, o perché mangio, o perché devo eliminare quello che ho mangiato”.
Quello descritto da Laura è un esempio dell’esperienza delle pazienti bulimiche e del circolo vizioso che si viene a creare tra abbuffate e condotte tese a controllare il peso.
Come si riconosce il disturbo? Si fa diagnosi di Bulimia quando sono presenti i seguenti comportamenti: abbuffate ricorrenti, ovvero consumo di grandi quantità di cibo indipendentemente dalla percezione di fame e con la sensazione di perdita di controllo (ad esempio: mangiare un pacco intero di merendine subito dopo un pranzo completo); condotte di compenso, finalizzate a neutralizzare gli effetti delle abbuffate, come il vomito autoindotto (che è il comportamento di compenso più frequentemente utilizzato), l’assunzione impropria di lassativi e diuretici, o la pratica eccessiva di esercizio fisico. È, inoltre, presente una continua ed estrema preoccupazione per il peso e le forme corporee. Le abbuffate sono vissute in genere con estrema vergogna e disagio; spesso sono associate a momenti di solitudine, di stress, di sensazione psicologica di vuoto o di noia, ed il cibo viene rapidamente ingerito in maniera scomposta, incoerente ed eccessiva.
Quando siamo davanti a un caso di bulimia le abbuffate e le condotte compensatorie si verificano almeno 2 volte a settimana per un periodo minimo di tre mesi.
Come illuminato dall’esempio di Laura la caratteristica principale della bulimia nervosa è un circolo vizioso che tende ad autoperpetrarsi tra preoccupazione per il peso, dieta ferrea, abbuffate e condotte di compenso. Paradossalmente la dieta ferrea aumenta la probabilità e la frequenza delle abbuffate; queste aumentano la probabilità del vomito o di altre condotte eliminatorie e così via. Tra l’altro l’esposizione ad una continua restrizione calorica ed alla perdita di peso può provocare sintomi quali depressione, ansia, ossessività, irritabilità, labilità dell’umore, sensazione di inadeguatezza, affaticamento, preoccupazione per il cibo, scarsa concentrazione, isolamento sociale e forte spinta ad abbuffarsi.
I soggetti bulimici generalmente hanno un peso normale, cosa che rende il disturbo più difficile da identificare (rispetto per esempio all’anoressia, facilmente individuabile per la significativa perdita di peso).
È un disturbo che usualmente insorge alla fine dell’adolescenza o all’inizio della giovinezza ed è molto più frequente nel sesso femminile (9 a 1 nel rapporto con il sesso maschile). L’esordio si ha generalmente in un età compresa tra i quindici e i venticinque anni, con un picco nella fascia d’età che va dai 17 ai 19. Sono comunque descritte anche forme precoci, in età infantile, e tardive.
Nei paesi occidentali la prevalenza è di circa un caso ogni cento giovani donne, anche se forse i dati di prevalenza e incidenza tendono a sottostimare la dimensione effettiva del fenomeno, dal momento che questa patologia tende a essere tenuta nascosta per vergogna e che le persone affette possono mascherare il disturbo per anni.
Le complicanze mediche, spesso sottovalutate, sono conseguenti sia delle abbuffate sia delle condotte di compenso. Il vomito ripetuto e l’abuso di lassativi o diuretici inducono scompensi dell’equilibrio elettrolitico, soprattutto riducono i livelli ematici di potassio, con serie ripercussioni a livello cardiaco, renale, cerebrale. Gastriti, esofagiti, emorroidi, prolasso rettale sono tra le altre patologie secondarie al vomito frequente e all’abuso di lassativi. Il vomito ripetuto, inoltre, può condurre ad una cospicua e permanente perdita dello smalto dentale, specialmente dei denti incisivi; questi diventano scheggiati, intaccati, e “tarlati”; aumenta inoltre la frequenza delle carie.
Quelle elencate sono solo alcune delle conseguenze della bulimia. Se non trattati in tempi e con metodi adeguati, i disordini alimentari possono diventare una condizione permanente e nei casi gravi portare alla morte, che solitamente avviene per suicidio o per arresto cardiaco. Secondo l’American Psychiatric Association (APA), sono la prima causa di morte per malattia mentale nei paesi occidentali.
Trattamento psicoterapeutico del Disturbo di Anoressia
La terapia cognitivo comportamentale ha come obiettivi iniziali la normalizzazione del peso e l’abbandono delle condotte di restrizione del’assunzione del cibo, delle abbuffate e delle condotte di eliminazione. In seconda battuta occorre aumentare i livelli di autostima, ampliare la definizione di sé al di là dell’apparenza fisica, ridurre il perfezionismo e il pensiero tutto-nulla, migliorare i rapporti interpersonali e, nel caso di adolescenti, aiutare i familiari a gestire il problema dei figli, mettendo anche in evidenza quali atteggiamenti siano controproducenti e da evitare.
Trattamento psicoterapeutico del Disturbo di Bulimia
La terapia cognitivo-comportamentale è un trattamento di provata efficacia per la bulimia nervosa. Obiettivo principale del trattamento è, innanzitutto, quello di normalizzare il comportamento alimentare; i pazienti devono riacquistare accettabili attitudini nei riguardi del cibo e modificare la convinzione che il peso costituisca l’unico o il principale fattore in base al quale valutare il proprio valore personale. Il primo passo consistete in interventi cognitivi tesi a interrompere il circolo vizioso restrizione-abbuffata-vomito, attraverso procedure come colloqui informativi e motivazionali, concettualizzazione del disturbo e condivisione con il paziente; vengono usate anche tecniche di automonitoraggio come i diari alimentari o la registrazione delle emozioni e pensieri che accompagnano i sintomi.
L’obiettivo è riabituare il paziente a un’alimentazione corretta, regolarizzando la frequenza dei pasti e utilizzando attività alternative alle abbuffate o alle condotte eliminatorie. In una seconda fase il trattamento mira a rendere stabile il nuovo comportamento alimentare e, soprattutto, a ridurre l’eccessiva preoccupazione per il peso e le forme corporee. Vengono poi usate procedure cognitive per identificare e modificare le idee disfunzionali alla base del disturbo e tecniche comportamentali; tra queste in particolare si usano la procedura di esposizione e prevenzione della risposta, che consiste nell’assunzione di cibo alla presenza di un operatore e in condizioni in cui le condotte di compenso vengono bloccate. La terza fase prevede l’applicazione di procedure finalizzate a mantenere i risultati raggiunti durante il trattamento: vengono usate strategie di prevenzione delle ricadute e tecniche che mirano ad aumentare la capacità di fronteggiare le situazioni critiche per il paziente.
Il trattamento psicoterapico è frequentemente associato a una terapia farmacologica. I farmaci elettivi nel trattamento di tale disturbo sono gli antidepressivi appartenenti alla categoria degli inibitori selettivi del ricaptazione della serotonina (SSRI).
Il trattamento farmacologico si è dimostrato efficace nella riduzione della frequenza delle abbuffate, del vomito, delle ruminazioni sul cibo e sul peso; produce inoltre un miglioramento dell’umore e aumenta la collaborazione alla psicoterapia. Il limite della terapia farmacologica è nella stabilità degli esiti: se non accompagnata da psicoterapia, sono frequenti le ricadute.
Nella gran parte dei casi la terapia della bulimia è ambulatoriale. Nei casi più gravi e resistenti si può optare per trattamenti di tipo residenziale (ospedale, day hospital, comunità terapeutica).
Alcol, Gioco d'Azzardo e Dipendenze
In psicologia, le dipendenze includono disturbi associati a difficoltà nel controllo dei desideri e del comportamento. Gli aspetti psicologici comuni di questi disturbi sono: (1) disagio psicologico nella gestione delle esperienze di desiderio intenso (craving), (2) difficoltà a evitare comportamenti dannosi.
L’oggetto del desiderio è qualcosa di gratificante (almeno nell’immediato). Gli oggetti e i comportamenti possono variare da persona a persona. Possiamo avere un problema con l’uso di sostanze (alcol, nicotina, cannabis, cocaina ecc…), problema di abbuffate e alimentazione incontrollata (cibo), problema con attività (es. gioco d’azzardo, videogiochi, comportamento sessuale, ecc…).
All’inizio prevale il piacere e la percezione di avere controllo, nel tempo si trasforma in una necessità cui la persona non riesce a rinunciare. In questo modo la dipendenza psicologica si instaura gradualmente. Per esempio, inizialmente le persone possono bere un bicchiere di vino o giocare d’azzardo per gusto e piacere. Queste attività se nel breve termine sono piacevoli, nel medio termine generano disagio psicologico. L’alcol rende euforici ma il giorno dopo l’umore è più irritabile. Il gioco offre adrenalina ma poi genera problemi economici. Lentamente i problemi di salute, di disagio psicologico, economici, conflitti nelle relazioni causati dall’attività o dalla sostanza aumentano. A quel punto si può instaurare il circuito della dipendenza psicologica: la persona per fuggire dalle preoccupazioni si immerge nuovamente nell’attività che li ha generati (bevo per dimenticare i problemi che mi ha causato l’alcool, gioco per vincere i soldi che il gioco mi ha fatto perdere). Questo è il circuito in cui la persona può trovarsi intrappolata.
Da un punto di vista psicologico, la persona può (1) non essere consapevole dei danni che si sta procurando oppure (2) esserne consapevole ma non riuscire a controllarsi.
In generale, i problemi del desiderio e del controllo degli impulsi condividono alcune caratteristiche che sono indipendenti dall’oggetto o dall’attività: (1) forte desiderio verso l’uso di una sostanza o la pratica di un’attività (craving); (2) dalla percezione che questo desiderio sia incontrollabile; (3) dalla tendenza ad assumere la sostanza o praticare l’attività nonostante le conseguenze negative che produce, (4) uso dell’attività o della sostanza per staccare la mente da preoccupazioni o stati di disagio.
Le componenti psicologiche che sostengono questo circolo sono:
Pensiero desiderante: discutere con sé stessi circa le ragioni valide che permettono di concedersi l’attività o l’uso della sostanza. Questa attività arriva a convincere le persone che in quel momento (1) non vi è alternativa, (2) i danni o le ripercussioni sono minime, (3) è possibile riprendere il controllo in un altro momento, (4) si è in pieno diritto a uno svago o a una gratificazione.
Percezione di scarso controllo: rappresenta l’idea di possedere uno scarso controllo del proprio comportamento o che gli impulsi producono l’azione come se esistesse qualcosa dentro di noi più forte di noi.
Giustificazioni: spesso la dipendenza cresce nell’ombra. Le persone la nascondono sotto il tappeto: minimizzano i danni, negano di farne uso, sottolineano di averne pieno controllo, trovano giustificazioni. Queste strategie servono alla coscienza della persona per non entrare in contatto con il dolore psicologico che la realtà impone: vedere quanto sto facendo male a me stesso e agli altri e soprattutto difendersi dall’esperienza di colpa.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale è uno delle psicoterapie che ha mostrato risultati efficaci nel trattamento delle dipendenze psicologiche. In alcuni casi, quando si associa una dipendenza fisica con sindrome di astinenza (nel caso di molte sostanze psicoattive) il supporto di una consulenza psichiatrica e/o di un periodo di disintossicazione in regime di ricovero può essere necessario per preparare alla psicoterapia.
Il percorso di psicoterapia cognitivo-comportamentale mira a (1) aumentare la consapevolezza sulle motivazioni e le dinamiche che sostengono la dipendenza, (2) aumentare il controllo del proprio comportamento, (3) riconoscere e ridurre giustificazioni e forme di autoinganno, (4) migliorare la gestione di impulsi e desideri.
Disturbo Borderline di Personalità
In psicologia il Disturbo Borderline rientra nei disturbi di personalità che sono caratterizzata da modalità di pensiero e comportamento disadattivi che si manifestano in modo pervasivo, rigido e apparentemente permanente. Coinvolgono diverse sfere di vita e sono caratterizzati da una scarsa consapevolezza, cioè le persone faticano a vedere che il loro modo di pensare e agire è problematico o se ne accorgono solo in parte.
Il Disturbo Borderline di Personalità è molto vario ma ha due nuclei portanti, il primo legato alla regolazione delle emozioni, il secondo alla sfera delle relazioni.
Per quanto riguarda il rapporto con le proprie emozioni il Disturbo Borderline di Personalità è caratterizzato da una forte instabilità psicologica. Le emozioni sono molto intense, in varie direzioni. All’estremo, l’esperienza psicologica degli stati emotivi può condurre a (1) stati mentali di vuoto o (2) stati mentali di caos emotivo incontrollato. Le persone con Disturbo Borderline di Personalità temono questi stati e cercano di evitarli e di controllarli, talvolta con strategie controproducenti. La reazione al vuoto o al caos emotivo è disregolata, impulsiva e intensa e può comprendere: azioni impulsive (es. rabbiose), abuso di sostanze, gesti autolesivi. Lo scopo è cercare di sentirsi vivi (in contrapposizione allo stato di vuoto) oppure sentirsi quieti e sicuri (in contrapposizione allo stato di caos) oppure non sentirsi affatto.
Le relazioni interpersonali sono instabili esattamente come il comportamento. In questo senso la sensibilità del Disturbo Borderline di Personalità è concentrato sul riconoscere ed evitare la sensazione di essere rifiutati o abbandonati. Per questa ragione possono assumere comportamenti dipendenti (mettersi a disposizione dell’altro, dedicarsi a lui o idealizzarlo), sono apprensivi e preoccupati davanti a segnali ambivalenti dell’altro (ogni segno di leggero distacco è una minaccia di abbandono dirompente) e per questo possono risultare anche molto controllanti e talvolta paranoici nella relazione. Infine possono vivere esperienze di forte rabbia quando l’altro si allontana o possono respingerlo in anticipo con rabbia per evitare di essere poi abbandonati.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale del Disturbo Borderline di Personalità è un percorso lungo, spesso associato a una terapia farmacologica. Molte persone hanno paura di questa diagnosi perché viene associata a gravi disturbi della mente, tuttavia esistono diversi livelli di gravità come in altri disturbi psicologici. Attraverso una buona psicoterapia la persona può ottenere una buona capacità di regolazione dei propri stati mentali e delle relazioni interpersonali, scoprendo le doti della propria sensibilità emotiva.
Gli obiettivi di una psicoterapia cognitivo-comportamentale sono: (1) aumentare la capacità di riconoscere e tollerare stati emotivi intensi, (2) ridurre comportamenti disregolati e dannosi in risposta al vuoto o agli stati emotivi intensi, (3) acquisire una maggior distanza consapevole dalle interpretazioni minacciose suggerite dalla propria sensibilità, (4) migliorare le capacità interpersonali e comunicative nella relazione con gli altri.
Gli individui con Disturbi di Personalità (o disturbi del carattere) sono persone che soffrono di problemi importanti nelle relazioni interpersonali, nella realizzazione affettiva, nella capacità lavorativa e/o nell’identità personale. Tutto questo si traduce i sintomi molteplici di cui non sempre le persone sono coscienti e che possono comprendere comportamenti impulsivi e autolesivi, problemi nelle relazioni affettive e grave sofferenza emotiva. Queste sofferenze dipendono da difficoltà nella comprensione di sé e degli altri e nella capacità di gestire intensi stati emotivi.
I soggetti con Disturbi di Personalità sono persone che, in genere hanno già affrontato altri trattamenti e percorsi di cura senza essere riusciti a diminuire in modo soddisfacente la propria sofferenza e senza avere ottenuto un grado sufficiente di benessere personale. In genere si tratta di persone che soffrono per uno o più sintomi specifici e con disturbi relativi alla personalità. In questo ambito la psicoterapia cognitivo-comportamentale è principalmente orientata verso l’accertamento e la modificazione dei problemi di comprensione di sé stessi e degli altri (consapevolezza) e l’acquisizione di strategie per gestire al meglio gli stati emotivi negativi e le relazioni con le altre persone.
L’obiettivo generale del trattamento rimane quello di mettere la persona in grado di essere consapevole dei propri problemi e di raggiungere una buona padronanza nel saperli gestire.
Disturbo Narcisistico di Personalità
In psicologia, il Disturbo Narcisistico rientra nei disturbi di personalità che sono caratterizzata da modalità di pensiero e comportamento disadattivi che si manifestano in modo pervasivo, rigido e apparentemente permanente. Coinvolgono diverse sfere di vita e sono caratterizzati da una scarsa consapevolezza, cioè le persone faticano a vedere che il loro modo di pensare e agire è problematico o se ne accorgono solo in parte.
Il Disturbo Narcisistico di Personalità è molto vario e spesso è stato descritto ponendo eccessiva attenzione ad un atteggiamento di autoesaltazione, anche se questo aspetto può essere presente il nucleo del disturbo narcisista risiede in un vulnerabilità a certi temi dolorosi.
Innanzitutto il Disturbo Narcisistico di Personalità è caratterizzato da una notevole sensibilità alle esperienze di umiliazione che vengono vissute come intollerabili e distruttive. L’esperienza del fallimento e della messa in discussione o della critica (in particolare se pubblica) è dolorosa ed spesso associata alla sensazione di non valere o di essere inferiore. Questo porta la persona a cercare di evitarla o di contrapporvisi in molti modi.
La prima strategia psicologica è l’autoaffermazione e la ricerca di riconoscimento delle proprie capacità, così da ridurre al minimo il rischio di essere messo in discussione. Questo piano può portare allo sviluppo di capacità e talenti sopra la media, per questo la convinzione nelle proprie capacità del narcisista è ben fondata.
La seconda è l’assunzione di un distacco emotivo, il narcisista impara ad essere freddo e distaccato, in modo da mantenere una posizione di fredda superiorità che immunizza ogni attacco da parte degli altri.
La terza strategia è la risposta rabbiosa di rivalsa e dominio. Il narcisista può cercare di sopprimere ogni rischio di critica o di mancanza di rispetto in modo aggressivo e talvolta violento. L’obiettivo è tenersi in una posizione di dominio ed evitare esperienze di inadeguatezza o vergogna.
Il costi che il narcisista paga nel tempo sono: (1) la fatica e lo stress di mantenere attivo un piano di continua autoaffermazione e riconoscimento, (2) la difficoltà a vivere emozioni piacevoli fino a sentirsi affettivamente arido, (3) il rischio di costante conflittualità interpersonale che può lasciarlo da solo.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale del Disturbo Narcisista di Personalità è un percorso lungo. Gli obiettivi di una psicoterapia cognitivo-comportamentale sono: (1) riconoscere la propria sensibilità e i costi emotivi delle strategie adottate, (2) esplorare emozioni e bisogni che non sono collegati alla propria autostima e iniziare a perseguirli, (3) tollerare critiche e messe in discussione, (4) migliorare le capacità comunicative e interpersonali nella relazione con gli altri
Disturbo Post-Traumatico da Stress
Il Disturbo Post Traumatico da Stress si manifesta in conseguenza di un fattore traumatico estremo, in cui la persona ha vissuto, ha assistito, o si è confrontata con un evento o con eventi che hanno implicato morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri, come, ad esempio, aggressioni personali, disastri, guerre e combattimenti, rapimenti, torture, incidenti, malattie gravi.
La risposta della persona comprende paura intensa, sentimenti di impotenza, o di orrore e l’evento traumatico viene rivissuto persistentemente con ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi, che comprendono immagini, pensieri, o percezioni, incubi e sogni spiacevoli, agire o sentire come se l’evento traumatico si stesse ripresentando, disagio psicologico intenso all’esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico, reattività fisiologica o esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico, evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma e attenuazione della reattività generale, aumentato, difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno, irritabilità o scoppi di collera, difficoltà a concentrarsi, ipervigilanza ed esagerate risposte di allarme.
L’insorgenza del Disturbo Post Traumatico da Stress può intervenire anche a distanza di mesi dall’evento traumatico e la sua durata può variare da un mese alla cronicità; per questo si rende necessario trattare immediatamente e profondamente il disturbo.
Trattamento Psicoterapeutico
Il Disturbo Post Traumatico da Stress può essere affrontato clinicamente in più modi, poiché rientra nella categoria generale dei Disturbi d’Ansia per i quali la psicoterapia cognitivo comportamentale ha sviluppato molteplici mezzi ampiamente efficaci. Scopo della terapia cognitivo-comportamentale è aiutare il soggetto ad identificare e controllare i pensieri e le convinzioni negative, identificando gli errori logici contenuti nelle convinzioni e le alternative di pensiero e di comportamento più funzionali e vantaggiose in relazione all’evento traumatico vissuto. Alcune tecniche da utilizzare sono:
l’esposizione: utile per ridurre le situazioni di evitamento, il soggetto viene invitato a rivivere l’avvenimento nella propria immaginazione e a raccontarlo al terapeuta. La procedura di esposizione si pone l’obiettivo di permettere al paziente di percepire e valutare in modo “controllato” l’oggetto della propria paura. Questo metodo, se graduale, consente al paziente di riappropriarsi di quelle funzionalità sociali e quotidiane che ha perso a causa dei rilevanti evitamenti dovuti ai sintomi acuti dell’ansia ed alla sindrome di ansia anticipatoria. Nel progettare ed effettuare le esposizioni deve essere ben spiegato il significato di tali procedure e quindi ricercare la piena collaborazione del paziente ed eventualmente di un suo familiare.
Ri-etichettamento delle sensazioni somatiche: la discussione concreta sulla natura di diverse sensazioni favorisce una categorizzazione ed una più realistica adesione ad un modello dei sintomi di ansia come effetti della sindrome da stress. La possibilità di discutere con il paziente delle cause dei singoli sintomi, con eventuali esempi anche calibrati sulle comuni esperienze della vita quotidiana ha la funzione di normalizzare e “decatastrofizzare” la condizione soggettiva del paziente
Rilassamento e respirazione addominale: le tecniche di rilassamento e di educazione respiratoria sono uno strumento “sotto controllo” del paziente, il quale può utilizzarle quotidianamente ed in modo autonomo per alleggerire la tensione e lo stress.
Ristrutturazione cognitiva: il soggetto può essere aiutato a riconoscere i propri pensieri automatici e spontanei legati all’evento traumatico, pensieri che spesso sono intrusivi, rapidi ed istantanei; l’allenamento nel percepire i propri pensieri ed i propri atteggiamenti è molto importante in quanto attraverso questa procedura il paziente si rende consapevole di come effettivamente modifica il proprio stato emotivo. Da tale abilità deriva anche il successivo lavoro di revisione e modificazione delle assunzioni generali. Attraverso questo lavoro il soggetto può modificare i propri schemi a favore di spiegazioni alternative più realistiche, adattive e concrete. Un ruolo di rilievo è costituito dal lavoro con i familiari (o con un familiare) attraverso il quale è possibile non solo ottenere la collaborazione per eventuali coinvolgimenti diretti in procedure di esposizione dal vivo, come esposto più sopra, ma è utile anche avere una collaborazione nella gestione delle relazioni in casa.
EMDR: la desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari (Eye Movement desensitisation and reprocessing) è una nuova tecnica messa a punto da F.Shapiro nel 1989 si basa sulla scoperta che alcuni stimoli esterni possono essere particolarmente efficaci per superare un grave trauma. In particolare, l’esecuzione di alcuni movimenti oculari da parte del paziente durante la rievocazione dell’evento permette di riprendere o di accelerare l’elaborazione delle informazioni legate al trauma.
Homework: un altro aspetto importante è quello delle procedure da attuare tra una seduta e l’altra, i cosiddetti “compiti per casa” o homeworks. E’ utile insistere sulla necessità di attuare i compiti in quanto molto spesso il lavoro progettato ha un senso preciso ed il suo risultato è necessario per la continuità del trattamento. Gli specifici compiti sono progettati in collaborazione con il paziente e consistono frequentemente in diari di registrazione di elementi-bersaglio, o diari di automonitoraggio, o in schede di analisi delle cognizioni associate agli eventi.
Cos'è la Psicoterapia
La psicoterapia è un percorso di trattamento dei disturbi psicologici che si realizza in una serie di incontri con un professionista psicoterapeuta. Lo scopo della psicoterapia è promuovere un cambiamento tale da migliorare in modo stabile alcune forme di sofferenza emotiva. La psicoterapia aiuta la persona a vivere meglio.
Nel panorama nazionale e internazionale esistono molte forme di psicoterapia. Tuttavia solo alcune psicoterapie sono state sottoposte alla sperimentazione scientifica e sono considerate psicoterapie efficaci. La ricerca in psicoterapia ha lo scopo di comprendere i disturbi psicologici, definire ipotesi di trattamento e verificarne l’efficacia attraverso metodologie rigorose. Attraverso la ricerca in psicoterapia è possibile selezionare i trattamenti che garantiscono maggiore efficacia e sostenere la qualità dei servizi offerti alle persone che chiedono aiuto.
Il modello di psicoterapia cognitivo-comportamentale è stato riconosciuto come trattamento efficacie per numerosi disturbi psicologici, tanto da essere inserito in molte linee guida nazionali e internazionali. La psicoterapia cognitivo-comportamentale rappresenta la psicoterapia di prima scelta nella cura dei disturbi d’ansia, panico, fobia sociale, disturbo ossessivo-compulsivo e della depressione dove mostra efficacia equivalente alla terapia farmacologica con un ridotto tasso di ricaduta nel tempo.
Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale
La psicoterapia cognitiva e comportamentale spiega il disagio emotivo attraverso una complessa relazione di pensieri, emozioni e comportamenti. Gli eventi influenzano le nostre emozioni ma pensieri e comportamenti determinano la loro intensità e la loro durata. Ognuno di noi ha modalità tipiche di pensare e agire (chiamati SCHEMI in psicoterapia cognitiva) che possono produrre malessere e questi sono il bersaglio della psicoterapia cognitiva. Spesso non siamo consapevoli dei nostri schemi e delle nostre abitudini dannose, la psicoterapia cognitivo-comportamentale ha lo scopo di individuarli e modificarli.
Nella psicoterapia cognitiva, la sofferenza sorge quando le persone provano emozioni negative come ansia, depressione, rabbia, colpa o vergogna. Normalmente simili emozioni appartengono alla vita quotidiana ma in alcuni casi possono essere troppo intense o durare troppo a lungo.
Per esempio, se commettere degli errori sul lavoro per quanto piccoli ci fa stare male per diversi giorni, se ci sentiamo delle nullità di fronte a ogni fallimento, se la paura di essere giudicati negativamente dagli altri o di sentirsi responsabili del dolore altrui diventa intollerabile allora probabilmente siamo di fronte a un problema emotivo.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale descrive come le emozioni dolorose spingano le persone a comportamenti che possono dare un sollievo apparente e immediato ma che si rivelano controproducenti e dannosi (es: abuso di alcool e sostanze, restrizione alimentare, ritiro dalla vita sociale, ripetizione compulsiva di atti). In altre occasioni questa sofferenza emotiva e il tentativo di ridurla incide profondamente sui rapporti con gli altri creando relazioni di dipendenza o di continuo contrasto e insoddisfazione che non aiutano a vivere bene.
La psicoterapia cognitiva e comportamentale agisce quindi su emozioni, pensieri (o schemi cognitivi) e comportamenti in modo attivo. Gli obiettivi sono: (1) migliorare il giudizio su di sé, (2) vivere meglio, (3) raggiungere i propri scopi di vita.
Ipnosi Ericksoniana
Si può definire l’ipnosi come un processo psicologico che porta il paziente ad utilizzare le proprie associazioni mentali, ricordi e potenzialità per raggiungere un determinato fine terapeutico. Il paziente risolve il suo problema attraverso l’utilizzazione di capacità già proprie ma che non vengono riconosciute e comprese e dunque rimangono inespresse. La terapia ha una struttura molto flessibile che può essere adattata alla varietà delle risposte dei pazienti che vi si sottopongono, e non vi sono regole a cui attenersi rigorosamente, tuttavia riferendoci all’ipnosi di Erickson, egli ha schematizzato il processo ipnotico ripartendolo in tre fasi: preparazione, trance terapeutica, valutazione e ratifica del cambiamento terapeutico ottenuto.[6]
a. La preparazione è una fase di conoscenza tra il paziente ed il terapeuta. Fondamentale obiettivo di questa fase è la costruzione di un rapporto solido tra le due parti, fondato sulla fiducia, sul muto rispetto e sulla comprensione. Negli incontri iniziali il terapeuta raccoglie informazioni sul bagaglio di esperienze e conoscenze del paziente che verrà poi utilizzato a fini terapeutici. Inoltre vengono indagate le strutture mentali di riferimento ed i sistemi di credenze del paziente che il terapeuta potrà sovvertire e depotenziare a favore della creazione di nuovi schemi che facilitino il cambiamento terapeutico. Elemento decisivo è inoltre l’aspettativa che il paziente ha in merito alla risoluzione del problema: se l’aspettativa di esito positivo è alta, il paziente potrà più facilmente sospendere e modificare le strutture di riferimento che spesso lo costringono ad una condizione autolimitante.
b. La trance terapeutica è un periodo nel quale gli schemi e le strutture abituali del paziente sono temporaneamente alterati, così che egli sia più ricettivo ad altri modelli di associazione e di funzionamento mentale che contribuiscano alla risoluzione dei problemi. Alcuni dei più comuni indicatori fisiologici che segnalano lo stato di trance sono catalessi, immobilità corporea, mutata qualità della voce, chiusura degli occhi, lineamenti facciali rilassati, mancanza o ritardo dei riflessi, rallentata frequenza respiratoria e cardiaca ed altri ancora. Non esiste un metodo universale di induzione dello stato di trance, ogni persona reagisce diversamente dalle altre, così sono possibili una molteplicità di approcci per personalizzare la terapia.
Ciò nonostante Erickson individua un paradigma di induzione della trance terapeutica composto da cinque stadi, che può essere adattato alle esigenze e alle reazioni del singolo paziente.
1) Fissazione dell’attenzione. in questa fase l’attenzione del paziente deve essere indirizzata verso la propria interiorità e le proprie sensazioni. A questo proposito si possono utilizzare approcci standardizzati come fissare un punto, una luce intensa o i movimenti del terapeuta, tuttavia non è necessario che il punto di fissazione sia esterno, anzi per guidare il paziente verso la propria interiorità si è rivelato più efficace far concentrare il paziente su sensazioni o immagini interne. Importante è essere consapevoli che qualunque cosa affascini e catturi l’attenzione del paziente può essere definita ipnotica. Quotidianamente le persone sperimentano trance ipnotiche quando presi da varie situazioni e faccende dimenticano tutto il resto. Efficace è l’approccio del terapeuta che classifica correttamente l’esperienza del comportamento mentale del paziente individuando la sua situazione. Il paziente si sentirà rassicurato e compreso accettando ogni suggestione che il terapeuta voglia indurre.
2) Depotenziamento degli abituali schemi di riferimento e credenze. Per raggiungere questo obiettivo esistono molti mezzi come ogni esperienza di shock e sorpresa. Quando il paziente sperimenta l’irreale, l’insolito o il fantastico può approdare a modi di comprensione alterati. L’interruzione degli abituali schemi si verifica nella quotidianità ogni qualvolta ci troviamo in una situazione imbarazzante, difficile o inaspettata dando origine a quello che Ernest Rossi (allievo di Erickson) ha descritto come “momento creativo” durante il quale produciamo un’intuizione, un nuovo atteggiamento o un nuovo comportamento ed è il processo alla base della trance terapeutica.
3) Ricerca inconscia e 4) processo inconscio. Questi due processi sono attivati da forme di suggestione indiretta, che avviano ricerche e processi inconsci e facilitano le associazioni mentali così che i pazienti rimangono sorpresi delle loro stesse risposte.
5) La risposta ipnotica è il naturale sviluppo dei processi inconsci avviati dal terapeuta. Essendo mediata primariamente da processi inconsci la risposta si presenta autonomamente e molti pazienti infatti manifestano una piacevole sorpresa nel notare la propria risposta involontaria. I classici fenomeni ipnotici quali catalessia, anestesia, amnesia, regressione d’età possono essere evocati dalle suggestioni dei terapeuti. Questo pone una grande importanza nella suggestionabilità del soggetto, e proprio a causa del ruolo centrale della suggestionabilità l’ipnosi ha assunto le connotazioni erronee della manipolazione e del controllo. Lo sfruttamento dei fenomeni che naturalmente appaiono durante la trance come affermazione del proprio potere e influenza, come per esempio nelle ipnosi da palcoscenico, ha alimentato questa concezione traviata del fenomeno ipnotico. Sviando questa concezione Erickson scrive: “la persona ipnotizzata rimane la medesima persona. Soltanto il suo comportamento viene alterato dallo stato di trance, ma anche così il comportamento alterato deriva dall’esperienza di vita del paziente e non dal terapeuta. […] L’ipnosi non altera la persona, non altera la sua esperienza di vita passata. Serve a permetterle di imparare di più su se stessa e ad esprimersi più adeguatamente.” [7]
La ratifica del cambiamento terapeutico è il momento in cui il terapeuta, avendo individuato le evidenti o minime alterazioni nel funzionamento sensorio- percettivo del paziente tali da indicare lo stato di trance, lo comunica al paziente rendendolo consapevole dei cambiamenti che l’ipnosi sta operando sulla sua persona. Molti pazienti riconoscono autonomamente i cambiamenti sperimentati e li comunicano al terapista, altri invece hanno bisogno di un aiuto in questa individuazione.
Il riconoscimento e l’apprezzamento del lavoro della trance sono necessari per evitare che vecchi comportamenti e modelli di pensiero vanifichino il funzionamento dei nuovi appena creati. Poiché non tutti i pazienti manifestano la stessa intensità sintomatica il terapeuta dovrà essere in grado di individuare anche le minime alterazioni presentate.
L’ipnosi è uno strumento di comprovata efficacia clinica, se ritieni di dover affrontare un disagio o una situazione problematica non esitare a chiedere un aiuto ad uno specialista.